curiosità stroriche padovane  1°

CENNINO CENNINI ALLA CORTE DEI CARRARESI

Molti grandi toscani vissero e operarono a Padova.Da Giotto a Petrarca, a Donatello, al Guicciardini, a Galileo Galilei. Ma vi furono anche alcuni minori, tuttavia per nulla spregevoli. Uno di questi è Cennino Cennini, nato verso il 1372 a Colle Valdelsa. Dopo studiata la pittura sotto Agnolo Gaddi (figlio di Taddeo, che era stato allievo di Giotto) in Firenze, dove lasciò anche alcune opere, già nel 1398 risulta che abitava in Padova, al servizio di Francesco d'à Carrara.

Si trovava pure nella nostra città suo fratello Matteo come trombettiere dei Signori Carraresi. Egli sposò una certa Ricca della Ricca di Cittadella .. Quasi di sicuro a Padova scrisse il suo « Libro dell'Arte ». Infatti nel principio fra altri santi nomina anche Antonio da Padova e nel corso dell'opera usa alcune voci padovane e confronta usanze di Padova con quelle toscane. Non si ritenga insignificante la citazione del nome di Sant'Antonio come prova che il libro del Cennini fu scritto a Padova. La fama del Santo era già grande, ma non s'era ancora sparsa nel mondo com'è oggi.

Prova ben più sicura è, come dicemmo, la presenza nell'opera di alcune parole padovane. Di esse, anche per passatempo, daremo un breve saggio. « Quando vuoi lavorare in muro (ch'è il più dolce e il più vago lavorare che sia), [allude agli affreschi] prima abbi calcina e sabbione, « tamigiata » bene l'una e l'altra ».

Evidentemente questo « tamigiata » per stacciata o setacciata, e forse anche la parola sabbione (padovano:« sabi6n l»~, sono forme dialettali nostre. « Tamigiata » non è che il padovano « tamisada ». Bisogna ricordare però che il verbo tamigiare, sebbene scomparso oggi dalla lingua italiana, anticamente poteva venir usato invece di stacciare.

« Quando se' per « ismaltare», spazza bene prima il muro, e bagnalo bene ..... l). Anche questo « smaltare » per intonacare, sa molto di padovano. Smaltare in italiano non significa coprire un muro di malta, ma coprire di smaIto un oggetto.

« Dalla man "zanca " metti il filo da battere .... ». « Zanca» per dire sinistra è schietto padovano, in uso frequente anche oggi: «( a man zanca l), a sinistra. Zanca non esiste nell 'italiano moderno; nell 'antico esisteva, ma con significato diverso dal veneto. Voleva dire o « cianca » cioè gamba o zampa, oppure il ripiegamento d'una leva o di un ferro.

« Poi piglia un pennello piccolo e "pontio" di se· tole ... ». « Pontio » per appuntato è una vera parola padovana. « e da' col tuo pennello a poco a poco, "squasi " asciutto ..... » Questo « squasi » per quasi non ha bisogno di commento.

Questo libro del Cennini è anche molto importante perchè è il primo trattato tecnico scritto in lingua volgare. Fino ad allora tutti i libri di tal genere erano stati scritti in latino, che era la lingua usata pure nelle Università. (Non si rida di quest'uso universale del latino. Si pensi che in tal modo le opere del tedesco Nicolò Cusano, dell' 'inglese Bacone, del polacco Copernico, degli italiani Pomponazzi e Telesio, del francese Cartesio, dell'olandese Spinoza si leggevano comodamente in tutto il mondo, senza bisogno di traduzioni).

Naturalmente l'uso del la tino nei trattati e nelle lezioni non sparì d'un colpo e continuò ancora per molti secoli. Per esempio le « tesi ne » di diritto canonico nella facoltà di legge all'Università di Padova si dovevano stendere in latino ancora verso la metà del secolo scorso. A questo proposito mi piace ricordare un fatto curioso, noto a pochissimi. Durante gli anni del fascismo il professor Concetto Marehesi, ordinario di letteratura latina nella nostra Università, temendo di perder la cattedra per non aver aderito al regime, pensò di laurearsi in legge per poter eventualmente darsi alla libera professione di avvocato.

Si laureò infatti all'Università di Messina (sua città natale) e presentò la tesi scritta in lingua latina creando così un certo imbarazzo fra i colleghi universitari della facoltà di legge, suoi esaminatori.. Tuttora è usata la lingua latina nelle prefazioni e negli apparati critici delle edizioni classiche inglesi di Oxford e tedesche di Lipsia, ed anche, si capisce in quelle edite in Italia (poche, ma bellissime). nonché, come tutti sanno, nelle Encicliche papali.

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Ignazio Sommer (Merzio)